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Un ricordo di Sebastiano Tusa, paletnologo pan-mediterraneo

L’Istituto Italiano di Preistoria e Protostoria partecipa al cordoglio per la scomparsa di Sebastiano Tusa e lo ricorda attraverso le parole del nostro vicepresidente, Massimo Cultraro.

Un vento africano, uno dei tanti che soffiano in quel continente, lo ha portato via per sempre. Nella mattina del 10 marzo si è tragicamente spento Sebastiano Tusa (1952-2019), paletnologo e socio ordinario di questo Istituto. Studioso brillante e dai molteplici interessi, ha condiviso la carriera di ricercatore e docente universitario con quella di dirigente nei quadri della Regione Sicilia, fino ad assumere il ruolo di assessore regionale ai Beni Culturali nell’aprile del 2018, succedendo a Vittorio Sgarbi. Formatosi all’interno dell’ateneo romano de La Sapienza, allievo di Salvatore Puglisi, aveva orientato i suoi primi studi verso l’archeologia orientale ed asiatica, partecipando a missioni esplorative in Pakistan, Iran ed Iraq. La passione per l’archeologia siciliana, trasmessa dai genitori, il padre Vincenzo, soprintendente alle antichità della Sicilia occidentale, e la madre Aldina Cutroni Tusa, docente di numismatica nell’ateneo palermitano, ebbe il sopravvento spingendo S. ad iniziare una nuova avventura nell’isola. Nonostante i suoi interessi abbiano coperto svariati ed ampi settori della ricerca, dall’archeologia subacquea fino al Medioevo, mi piace ricordare il contributo lasciato nel campo della paletnologia italiana e mediterranea.

Nel ruolo di funzionario e soprintendente di differenti istituzioni regionali, S. ha scelto di concentrare l’attenzione su alcuni siti pluristratificati, soprattutto nelle province di Trapani e di Palermo, attraverso i quali indagare e ricostruire i principali processi culturali della preistoria siciliana. L’esplorazione della grotta dell’Uzzo (San Vito Lo Capo, TP), avviata nel 1975, crea i presupposti, scientifici e teorico-metodologici, per reimpostare il tema del processo di neolitizzazione dell’isola e del rapporto tra i gruppi mesolitici e le comunità di agricoltori. Dopo le indagini nell’insediamento neolitico di contrada Stretto di Partanna (TP), nel 1989-1994, contraddistinto da un imponente fossato interpretato in chiave non funzionale, S. sposta i suoi interessi nel campo dell’archeologia del sacro. I numerosi lavori sull’argomento sono collegati dall’asserzione che le comunità della Sicilia pre-greca abbiano seguito due differenti filoni di comunicazione simbolica, uno risalente all’idea di una dea-madre di origine neolitica, l’altro identificato in un sostrato “uranico” introdotto a partire dall’età del Rame.

L’esplorazione dell’insediamento di Mursia nell’isola di Pantelleria, in collaborazione con l’Università di Bologna e dell’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, dove S. insegnava paletnologia, ha contribuito a definire l’altro tema, assai caro allo studioso, dei collegamenti transmarini nel Mediterraneo centrale nel corso del III e II millennio a.C. Questo filone di ricerca si salda con il ruolo che S. ebbe come soprintendente della Soprintendenza del Mare, istituita nel 2004, che diventa, in un’ottica multidisciplinare, motore di ricerca e di tutela delle risorse archeologiche sottomarine. Prende forma un rinnovato interesse verso le isole minori del comprensorio marino siciliano, sulla scia di quanto Luigi Bernabò Brea e Madeleine Cavalier avevano fatto per l’archeologia delle isole Eolie, spostando l’attenzione su realtà dimenticate, come le Egadi ma anche l’arcipelago delle Pelagie.

La Sicilia dell’età del Rame rimane, agli occhi di S., un mondo complesso e dalle molteplici direttrici culturali. Sono ancora una volta le estreme regioni occidentali dell’isola a costituire l’area privilegiata di ricezione e rielaborazione di fenomeni trans-isolani, mediati con il ruolo della Sardegna a cui S. guardava con interesse, quali la cultura del Bicchiere Campaniforme e il megalitismo.

Erano oramai maturi i tempi per un aggiornamento del suo celebre volume La Sicilia nella Preistoria (1° ed. Palermo 1983), a S. fece seguire l’allestimento della mostra Prima Sicilia. Alle origini della società siciliana (Palermo 1997). La formula più idonea, per offrire un quadro rinnovato ed esaustivo sulla preistoria dell’isola, S. la trova nell’organizzazione, sotto l’egida dell’IIPP, della XLI Riunione Scientifica dall’emblematico titolo Dai Ciclopi agli Ecisti (svoltasi nel 2006 e i cui atti sono usciti nel 2012). L’attenzione verso una ricostruzione globale dei fenomeni culturali pre-protostorici, nei quali il contesto eco-ambientale svolgeva un ruolo determinante, può essere il filo conduttore delle quarantennali ricerche di S. che, come sottolineava acutamente S. Puglisi nell’introduzione a La Sicilia nella preistoria, univa “immaginazione critica al’impiego dei dati non sconfinando dai valori probabili del reale”.

Nel suo ultimo libro, I Popoli del Grande Verde (Ragusa 2018), che ho avuto il privilegio e il piacere di presentare in diverse circostanze, il mare africano e le migrazioni antiche diventano il pretesto per una più complessa riflessione sui temi di drammatica attualità. Il concetto etnico, ripreso nei suoi lavori dedicati all’origine degli Elimi, costituisce il corollario di una riflessione sull’immaginario e sulle forme di rappresentazione dei popoli antichi. S., tuttavia, non poteva immaginare che quel continente africano, a cui aveva guardato più volte dalla sua amata Pantelleria e dove era stato attivo in missioni archeologiche, sarebbe divenuto il tragico luogo di passaggio verso le isole dei Beati.

Che la terra ti sia lieve, amico mio.

Catania 10 marzo 2019

Massimo Cultraro

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